Descrizione
Le Questioni di metodo nascono dall’interno del lavoro storico e dall’insieme dei problemi di operosità e di efficacia che Péguy incontrò nel momento stesso nel quale volle, per esempio, fare la «storia interiore» di Giovanna d’Arco o quella dell’Affare Dreyfus e del ruolo, all’interno ed all’origine, di Bernard-Lazare. Con Clio, in un dialogo che é soprattutto un monologo, la storia stessa si ritrova, vecchia e sdentata, tutta calata nel quotidiano della ricerca costretta ad interrogarsi su se stessa, sulla propria sterilità sopravvenuta, di fronte ad un «evento», quello della vita e della realtà vissuta, che le sfugge da tutte le parti mentre smentisce le sue pretese, nella versione accademica del positivismo dominante, di dea e regina. Emergono così, nella sua stessa tragica e ironica e qualche volta comica riflessione, la tara ed il cancro ereditari che essa si ritrova dentro e che essa riconosce dome il lascito genetico del vecchio caro nonno Crono, il Tempo. La lucida autoanalisi della storia rischia così di diventare generale e radicale, nella sua estensione geografica e nelle sue profondità geologiche, se non intervenisse una dimensione nuova che la storia avverte e coglie nel più profondo di se stessa quando si riscopre e si ritrova creatura e creazione, insomma un pezzo non certo il più importante ma sicuramente essenziale, la conditio sine qua non della creazione stessa. La storia, in Veronica, si riscopre e si esalta come culla, alloggio, nutrimento, allattamento, alimento vitale dell’eterno: L’infinito ha bisogno del finito, lo spirituale ha bisogno del temporale e l’eterno riacquista il gusto, riassume il sapore dell’umano diventando «il lievito del pane celeste».
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